ANNO 14 n° 120
Un viterbese a New York Chiacchiere e distintivi
>>>> di Andrea Bentivegna <<<<
04/07/2014 - 00:23

Parte oggi una nuova rubrica su ViterboNews24 dal titolo ''Un viterbese a New York'', un vero e proprio diario di viaggio scritto in diretta dalla Grande Mela che diventerà l’appuntamento fisso del venerdì. Il viterbese in questione si chiama Andrea Bentivegna, 30 anni, architetto. E’ partito ieri alla scoperta di New York City, dove resterà fino al 1° settembre, e fino ad allora, ogni settimana, racconterà ai lettori la sua esperienza. 

di Andrea Bentivegna

Le divise dei poliziotti alla dogana dell'aeroporto JFK di New York. E' stato questo il primo contatto con l'America e con questa città: è stato in quel preciso istante che ho realizzato di esserci arrivato. Arrivare in questo paese per la prima volta a trent'anni suonati è indubbiamente un po’ da sfigati anche se, un'attesa così lunga, l'immaginazione alimentata da film, libri, riviste e dischi hanno costruito una sorta di mitologica realtà.

E così una vita e nove ore di volo dopo eccomi qui, impaziente, in fila alla dogana. Tecnicamente non sono nemmeno sul suolo americano, anche se per pura convenzione, eppure sembra già tutto diverso o forse tutto uguale. Uguale ad ogni film, ad ogni immagine con cui siamo cresciuti. Eccomi di fronte all'agente Howard (così è riportato sulla targhetta appuntata sul petto, che poi petto è una definizione riduttiva nel suo caso) il distintivo, le mostrine e il blu scurissimo dell'uniforme del NYPD sono il primo brandello di America che tocco, un brandello che mi osserva severo attraverso un vetro e che, dopo le domande di rito che ho finto di comprendere, mi ha finalmente lasciato sbarcare.

Lo sbarco a New York ha rappresentato per un paio di secoli qualcosa di incredibilmente serio, una fuga di disperati che hanno trovato qui un'opportunità di riscatto, un'avventura. Nel mio caso sono state nove ore di volo piuttosto tranquille in cui l'unico atto eroico è stato sopportare l'ipocondria della ragazza seduta al mio fianco che qualcuno deve aver messo in guardia sul rischio di trombosi perché si è alzata, e mi ha fatto alzare, talmente tante volte che credo ci potesse arrivare a piedi sulle rive dell’ Hudson.

Ora non so bene cosa voi vi aspettiate da questo racconto, spero poco, e comunque sarà molto meno, ma d’altronde, si può dire qualcosa che non sia stato già detto su questa città? No e non sarò certo io a farlo, ma come disse Osvaldo Soriano quando gli chiesero di scrivere una rubrica di calcio per un noto giornale ''Non amo lavorare troppo, né correre per i corridoi di uno stadio, né forse capisco di sport quanto l'incarico richiederebbe. Ma so inventare storie bellissime''.





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